MACCHINA
In Mamma Roma sieht man wie Pasolinis Filmstil, den er selbst freie indirekte Subjekteinstellung, soggettiva libera indiretta nennt und der freien indirekten Rede aus der Literatur anlehnt, die Kamera spürbar macht: durch das Eindringen des Autors in die Figur und die Adaption ihrer Perspektive ohne dabei die Position der Kamera aufzugeben. Pasolini bezeichnet dies als far sentire la macchina.
Die Kamera geht dem Bild voraus, sie ‚läuft’ vorneweg, erschließt den Raum, noch bevor die Protagonisten diesen selbst betreten. Durch diese sowohl räumliche als auch zeitliche Ungleichzeitigkeit entsteht eine doppelte Perspektive: Der Zuschauer sieht gleichzeitig mit den Augen der Kamera und den Augen des Protagonisten, wodurch sich der Blickwinkel für ein und dasselbe Bild verdoppelt.
Nicht selten sind die gefilmten Orte dabei Passagen, Stadtränder, Häuserfluchten, Wege, also Räume, die Durchgänge oder Übergänge darstellen. Die auf diese Weise gefilmten Orte sind menschenlos aber nicht tot, denn die Kamera, die den leeren Raum kadriert, wartet darauf, wie Gilles Deleuze schreibt, „daß eine Person ins Bildfeld tritt, etwas tut oder sagt und es wieder verläßt“[1]. Gerade diese Bilder des Übergangs von leeren Orten und den Menschen, die sie betreten, stellen Momente dar, die uns berühren →Denti. Die Kamera filmt die Straße oder den Weg, den die Figuren kurz darauf abschreiten. Durch die Ungleichzeitigkeit von Kamera und Figur werden die Bilder zu anachronistischen Momenten im Film, die aber gerade dadurch die Zeit überdauern und weiter wirken.
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[1] Gilles Deleuze, Das Bewegungs-Bild, Kino 1, Frankfurt a. M.: Suhrkamp 1989, S. 107.
Cornelia Wild
Filmstills: Pier Paolo Pasolini Mamma Roma (1962)
MACCHINA
In Mamma Roma si vede come lo stile filmico di Pasolini, definito da lui stesso soggettiva libera indiretta e che riprende il discorso libero indiretto dalla letteratura, fa della camera un elemento attivo: ci riesce mediante la penetrazione dell’autore nella figura e anche mediante l’adattamento della sua prospettiva senza però rinunciare alla posizione della cinepresa. Pasolini chiama questo metodo “far sentire la macchina”.
La camera va oltre le immagini, le ‘cammina’ davanti, apre luoghi ancor prima che i protagonisti vi entrino. Mediante questa duplice non simultaneità (spaziale e temporale) si realizza una duplice prospettiva: lo spettatore vede contemporaneamente con gli occhi della cinepresa e con gli occhi del protagonista, cosicché l’angolo visuale per la stessa immagine viene raddoppiato.
Non di rado i luoghi filmati sono dei passaggi, periferie, fila di case, sentieri, quindi spazi che rappresentano passaggi. Ai luoghi così catturati dalla cinepresa manca la presenza umana, ma non sono morti, perché la cinepresa che inquadra i luoghi vuoti attende, come scrive Gilles Deleuze: “che una persona entri nella zona dell’immagine, che faccia qualcosa e che di nuovo se ne vada”.[1]
Proprio queste immagini di passaggio dei luoghi spogli e dell’uomo che li attraversa, rapresentano i momenti che ci toccano →Denti. La cinepresa inquadra la strada o il cammino, che le figure attraversano per poco. Attraverso la non sincronicità della cinepresa e della figura, le immagini diventano momenti anacronistici ma che proprio per questo sopravvivono al tempo agendo ancora.
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[1] Gilles Deleuze, Das Bewegungs-Bild, Kino 1, Frankfurt a. M.: Suhrkamp 1989, S. 107.
Cornelia Wild
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