DISGRAZIATO

Ein „disgraziato“ ist ein Unglücklicher, vom Pech Verfolgter, der unser Mitleid erregt; zugleich ein gemeiner, infamer Mensch, dessen Niedertracht sich auch äußerlich, im Mangel an Anmut und Schönheit, zeigt. Wörtlich bezeichnet „disgraziato“ denjenigen, der von der Gnade abgefallen ist.

„Disgraziato“ ist der junge Zuhälter Accattone, zu deutsch „Bettler“ oder „Schmarotzer“, der in den borgate am Stadtrand →Periferia Roms sein lumpiges Leben fristet (Abb. 1); „disgraziati“ sind aber auch all jene – Frauen und Männer, Zuhälter und Huren, Diebe und Taugenichtse, Junge und Alte – die zu seiner Welt gehören: „Siamo tutti una massa di disgraziati“, ruft Accattone tränenüberströmt, um das Mitleid der neapoletanischen Freunde von Nero Ciccio, dem ehemaligen Zuhälter seiner Hure Maddalena, zu erregen und so seine Haut zu retten (Abb. 2). Maddalena, „’sta disgraziata“, hatte Nero Ciccio ins Gefängnis gebracht und wird zur Strafe nachts auf unvorstellbar brutale Weise von seiner Bande zusammengeprügelt (Abb. 3). Weil sie den Falschen beschuldigt, kommt Maddalena für ein Jahr ins Gefängnis, Accattone verliert seine Einnahmequelle und das Elend nimmt seinen Lauf.

„Una tragedia senza speranza“,[1] nannte Pasolini seinen ersten Film, und macht aus Accattones Schicksal eine Passionsgeschichte →Crocifissione, die er mit den Klängen Bachs – „Wir setzen uns in Tränen nieder“ – unterlegt. Bachs Matthäuspassion zeichnet in ihrem unentrinnbaren Pathos die Stationen bis zum tragischen Finale vor: Accattone findet auf keinen Weg der Gnade (zurück), sondern nimmt ein schändliches Ende, „una fine disgraziata“. Es gibt – auch buchstäblich – keine Aussicht in Accattone: Die Kamera fixiert die Welt der Vorortslums und ihre Bewohner in Großaufnahme, fast immer frontal, in statischen, auratischen Bildern ohne jede Öffnung.[2] Einzig in Accattones Traum seiner eigenen Beerdigung, in dem er den Totengräber bittet, er möge sein Grab doch in der Sonne schaufeln, öffnet sich die Perspektive kurz auf das bergige Umland Roms und den Horizont (Filmausschnitt 1) – die einzige Aussicht ist in Accattone der Tod.

Und doch ist die grazia in der aussichts- und gnadenlosen Welt der „disgraziati“ nicht vollkommen abwesend; vielmehr wirkt sie in den Körpern und ihrer ikonischen Inszenierung fort – als gratia im antiken Sinn. Bezeichnet gratia im Christentum die unerforschliche Gnade und Barmherzigkeit Gottes, so ist sie in vor- und außerchristlicher Bedeutung zunächst eine Eigenschaft des Menschen: Anmut, Liebreiz, sex appeal – eine Nuance, die von den romanischen Worten grazia oder grâce, nicht aber vom deutschen Begriff Gnade transportiert wird.[3] Accattone macht sich schuldig – an Maddalena, die er ausbeutet und mit gebrochenem Fuß auf den Strich schickt; an seiner Ex-Frau, die er mit den Kindern sitzengelassen hat; an seinem kleinen Sohn Iaio, dem er das Goldkettchen stiehlt, um seiner neuen Flamme Stella Schuhe kaufen zu können; und schließlich an Stella, die er, obwohl zum ersten Mal in seinem Leben verliebt, anschaffen gehen lässt (Abb. 4). Trotzdem können wir gar nicht anders, als Accattone zu mögen, und zwar nicht nur, weil es keine Alternative zu dieser „vita disgraziata“ zu geben scheint; vielmehr verfügt er über eine eigentümliche grazia, die er nie verliert, wie tief er auch fällt – die uns affiziert und zum Mitleiden, zur compassione befähigt. Nach Tagen des Hungerns sind Accattones Wangen eingefallen, seine Lider auf Halbmast, und doch bewahrt er eine beinahe tänzerische Leichtigkeit (Abb. 5, 6). Als seine Kumpels und er ausgehungert auf die mickrige Portion Pasta warten, scherzt er mit dem kleinen Sohn seines Freundes Scucchia: „Eppure, cos’è la fame? È un vizio“ – der Hunger, nichts als ein dummes Laster, über das man sich grazil hinwegsetzen könnte, wenn man nur wollte. Ohne mit der Wimper zu zucken opfert er die ergaunerte Pasta, um Stella auf eine Spritztour im Auto seines Freundes nach Rom einzuladen (Filmausschnitt 2). Momente der grazia inmitten all der materiellen Misere. Das Elend hat in Accattone seinen Gegenpart in einer Grazie, die ganz und gar im Kreatürlichen wurzelt: in der sprezzatura der Körper, aber auch in der schlagfertigen Lässigkeit des romanesco, dem Dialekt der römischen borgate, in den allgegenwärtigen, barfuß durchs Bild laufenden Kindern, die noch nicht wissen, dass sie einmal das selbe erbärmliche Leben führen werden wie ihre Eltern (Iaio, der versunken mit alten Flaschen spielt, Abb. 7), in der sinnlichen Liebe, die immer schon Vorspiel zur Prostitution ist, und doch einen Kern der Unschuld bewahrt (Accattone, wie er Stella zum ersten Mal auf einem Feld verführt, Abb. 8), und nicht zuletzt im Lachen (Accattone und Balilla, die sich in der vorletzten Szene über die monströs stinkenden Füße Cartagines totlachen, Abb. 9, 10).

Was bleibt, ist die paradoxe Grazie der „disgraziati“ – die lässige Anmut und Würde derjenigen, die von jeder Gnade abgefallen sind, und denen Pasolini in Accattone ein demütig-erhabenes Denkmal setzt.


_______________________________
[1] Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere – dialoghi 1960-1965, n. 26 a. XVI, 1. Juli 1961, Rom 1977, S. 134.
[2] „Invece in Accattone tutto ripiomba dentro quel mondo. Pare che questo mondo non abbia aperture, non abbia prospettive di nessun genere. Quindi in un certo senso, questa immediatezza di una speranza non si intravede esplicitamente, è tutta incorporata dentro il film, nell'espressione poetica del film…“ (ebd.).
[3] Vgl. Eintrag „Gnade“ in: Reallexikon für Antike und Christentum, hg. von Theodor Klauser, Bd XI, Stuttgart 1981, S. 314-446, hier S. 315; 321.


Rebekka Schnell



















Filmstills: Pier Paolo Pasolini Accatone (1961)




Filmausschnitte Pier Paolo Pasolini Accatone (1961)




DISGRAZIATO

Un disgraziato è una persona infelice, perseguitata dalla sfortuna, che suscita la nostra compassione; allo stesso tempo descrive un uomo ignobile, un infame, la cui viltà si mostra anche nell’aspetto esteriore, nella mancanza di grazia e bellezza. Letteralmente l’aggettivo “disgraziato” definisce una persona senza grazia.

Il giovane protettore Accattone è un disgraziato (in tedesco Bettler, Schmarotzer), che vivacchia miseramente nella borgata della periferia →Periferia romana. Sono disgraziati, però, anche tutti quelli che appartengono al suo mondo, uomini e donne, protettori e prostitute, ladri e buoni a nulla, giovani e vecchi. “Siamo tutti una massa di disgraziati!”, grida Accattone con gli occhi colmi di lacrime per suscitare la compassione, e salvare così la sua pelle, degli amici napoletani di Nero Ciccio, al tempo protettore della sua prostituta Maddalena. A causa di Maddalena, “’sta disgraziata” Nero Ciccio era finito in galera e per punizione la sua banda picchia la prostituta in modo brutale ogni notte. Per avere dichiarato il falso, Maddalena va in galera per un anno. Accattone perde così la sua unica fonte di sostentamento, e per lui si prefigura la miseria.

“Una tragedia senza speranza”,[1] così definisce Pasolini il suo primo film. Del destino di Accattone Pasolini fa una storia della passione →Crocifissione accompagnata dal sottofondo musicale dell’opera di Bach Wir setzen uns in Tränen nieder. La Passione secondo Matteo di Bach scandisce nel suo inesorabile pathos, le stazioni fino al tragico finale: Accattone non (ri)trova in nessun modo la grazia, anzi fa una fine “disgraziata”. Non c’è prospettiva, né salvezza – anche letteralmente – in Accattone: la camera fissa in un primo piano il mondo dei bassofondi di periferia e dei suoi abitanti, quasi sempre frontali, figure statiche e piene di aurea senza alcuna apertura.[2] Solo nel sogno di Accattone sul suo funerale, nel quale Accattone prega il becchino di scavare la sua tomba dove batte il sole, si apre per poco la prospettiva sulla zona montuosa di Roma e sull’orizzonte. La sola prospettiva in Accattone è la morte. Eppure la grazia non è del tutto assente nella prospettiva e nel mondo privo di benedizione dei disgraziati; continuano ad evincersi nella messinscena iconica, in quella dei corpi, come gratia nel senso antico del termine.

Se la gratia nel cristianesimo definisce l’indecifrabile benedizione e misericordia di Dio, allora nel suo significato precristiano e non cristiano è, prima di tutto, caratteristica dell’uomo: grazia, graziosità, sex appeal – una nuance che si ritrova nelle parole romanze grazia o grâce, ma non nel termine tedesco Gnade.[3] Accattone si proclama colpevole: a Maddalena che sfrutta e che manda in strada a lavorare con un piede rotto. Si proclama colpevole alla sua ex moglie, abbandonata con i bambini. È colpevole dinanzi al suo figlioletto Iaio, al quale ruba la collanina d’oro per poter acquistare delle scarpe per la sua nuova fiamma Stella; e, infine, a Stella che lui manda a battere nonostante per la prima volta si sia innamorato. Nonostante tutto, noi non possiamo che amare Accattone e non solo perché a questa vita disgraziata paia non esservi alternativa; ma è piuttosto per la grazia che possiede e che non perde mai, anche quando sprofonda, che ci tocca e che ci porta a provare compassione. Dopo giorni a patire la fame le guance di Accattone sono flaccide, le sue palpebre sono chiuse a metà, eppure lo protegge una leggerezza quasi danzante. Quando aspetta con i suoi amici la misera porzione di pasta, scherzando con il piccolo figlio del suo amico Scucchia esordisce: “Eppure, cos’è la fame? È un vizio”. La fame è quello stupido vizio di cui non tener conto, solo se non si vuole. Senza battere ciglio sacrifica la sua pasta per poter invitare Stella ad una piccola gita a Roma con l’auto del suo amico. Momenti di grazia all’interno di tutta la miseria materiale. La miseria ha in Accattone la sua controparte in una grazia che affonda le sue radici nel creaturale: nella disinvoltura del corpo, nella desta informalità del romanesco, nel dialetto delle borgate romane, in tutti quei bambini che scalzi camminano attraverso le immagini e che ancora non sanno di dover condurre la stessa misera vita dei loro genitori, nell’amore sensuale che è sempre un preliminare alla prostituzione, e che pure conserva un nocciolo di innocenza. E non in ultimo nella risata (Accattone e Balilla, nella penultima scena, ridono a crepapelle per i piedi maleodoranti di Cartagine). Quello che resta è la grazia paradossale dei disgraziati, la semplice grazia e dignità di coloro i quali non hanno più alcuna grazia e ai quali Pasolini erige, con Accattone, un monumento umile e solenne.


_______________________________
[1] Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere – dialoghi 1960-1965, n. 26 a. XVI, 1. Luglio 1961, Roma 1977, p. 134.
[2] “Invece in Accattone tutto ripiomba dentro quel mondo. Pare che questo mondo non abbia aperture, non abbia prospettive di nessun genere. Quindi in un certo senso, questa immediatezza di una speranza non si intravede esplicitamente, è tutta incorporata dentro il film, nell'espressione poetica del film…” (ibd.).
[3] Cfr. „Gnade“ in: Reallexikon für Antike und Christentum, hg. von Theodor Klauser, Bd XI, Stuttgart 1981, pp. 314-446, qui p. 315; 321.


Rebekka Schnell